La crisi dei quotidiani italiani sembra ormai irreversibile.

Negli ultimi mesi i giornali, già in declino da anni, hanno registrato un ulteriore crollo delle vendite, comparando i dati di Giugno 2016 con quelli di Giugno 2015.
Il Corriere della Sera ha segnato un meno 12,84 per cento, attestandosi a 324.591 copie vendute mediamente al giorno; La Repubblica perde il 14,69 per cento delle quote e si ferma a 290.882 copie vendute; Il Messaggero vende 120.772 copie quotidiane, con un calo del 10.41 per cento; La Stampa perde il 13,41 per cento. Il Sole 24 Ore, bibbia economica della classe dirigente italiana, subisce addirittura un crollo: meno 32,65 per cento, un terzo del venduto, fermandosi a 248.730 copie.
Gli altri quotidiani non stanno meglio. Anzi. Il problema colpisce anche i più piccoli e si riflette nelle numerose crisi aziendali che si traducono in licenziamenti di giornalisti e addetti di tutti i settori della filiera produttiva.

I dati sulla diffusione e vendita dei quotidiani, elaborati e resi noti dalla Associazione Diffusione Stampa (Ads), società che riunisce editori e operatori pubblicitari, sono ancora più gravi se considerati nel lungo periodo. Sono bastati gli ultimi sei anni perché il mercato si dimezzasse: meno 50 per cento di venduto medio.


Numeri che dicono una cosa: la crisi è strutturale. E’ il lento tramonto di un modello industriale, quello del giornale di carta, gravato da enormi costi di stampa e diffusione. Negli Stati Uniti la chiusura progressiva dei quotidiani è iniziata ormai oltre 10 anni fa e ora il fenomeno raggiunge l’Europa e l’Italia.

Fine di un modello industriale che, purtroppo, non è stato sostituito da un altro, alternativo. I dati dei quotidiani italiani che avete letto sono comprensivi delle copie digitali diffuse a pagamento. Gli editori più grandi hanno fatto dei tentativi di introdurre contenuti a pagamento sul web  ma fino a oggi non hanno avuto successo.

Eppure, nel mondo sempre più complesso in cui viviamo, l’informazione è vitale e sempre più necessaria. Quello che si è perso è il modello di business. E’ un problema che attiene alla “salute” economica di un Paese e anche alla democrazia. Questo, però, è un tasto dolente perché, se il web e le nuove tecnologie hanno “ammazzato” il vecchio modello analogico di cui i quotidiani di carta sono l’emblema, la crisi dell’editoria è, in senso più ampio, anche crisi del giornalismo. La ragione per cui non si paga più per acquistare un giornale di carta, una rivista (anche L’Espresso è diventato un supplemento del sabato de La Repubblica), ma nemmeno si paga per contenuti on line non è da ricercarsi solo dalla disponibilità di grandi quantità di contenuti gratuiti.

La ragione va ricercata anche nel progressivo scadimento della qualità del giornalismo. Il giornalismo italiano, per tradizione, è molto politico. I nostri giornali dedicano decine di pagine al giorno alla politica, al contrario di quanto accada all’estero. Si tratta però, salvo rare eccezioni, di giornalismo schierato, di parte, spesso fazioso, povero di senso critico, e la maggior parte dei quotidiani faticano a essere liberi dal condizionamento dato dagli interessi dell’editore o del campo politico con cui sono schierati.

Un problema, a dire il vero, che non riguarda solo i quotidiani ma riguarda tutti i media. Una crisi industriale quindi, e allo stesso tempo una crisi di credibilità del giornalismo italiano. Il settore dell’informazione è insomma sull’orlo (ho è già nel baratro?) di una crisi di credibilità e economica.
Una crisi che riguarda tutti noi, e in particolare noi comunicatori che della filiera della informazione siamo – che ce lo si riconosca o meno – una componente importante. Proprio per discutere di questo e aprire un luogo di confronto diretto tra giornalisti e comunicatori – dalle crisi si esce insieme – Assorel ha promosso in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia un seminario dal significativo titolo ““Giornalisti e comunicatori nell’era digitale: estinzione o evoluzione?”, al quale prenderanno parte alcuni tra i più importanti giornalisti e comunicatori del Paese.