Il Transatlantico nelle ore che precedono l’elezione di Mattarella era come il corso di un paese di provincia al sabato pomeriggio. Deputati, Senatori, giornalisti, grandi elettori e qualche imbucato passeggiavano come se fossero lì per guardare e farsi guardare.  E in un certo senso è davvero così. Con chi parli, con chi ti accompagni, quale tesserino esponi, o non esponi, sul bavero della giacca definiscono il tuo rango.La convergenza ampia attorno al nome di Mattarella è nata anche in corridoio.La recita di Pierferdinando Casini che, dopo avere parlato a lungo in un angolo della Buvette con Franceschini, scherza coi cronisti e poi prende sotto braccio i forzisti Minzolini e Romano e dice ad alta voce: “fatemi riportare all’ovile queste pecorelle smarrite” vale più di mille riunioni. In quel gesto, scenografico, ampio, sornione, c’erano già due notizie: i centristi avrebbero votato Sì a Mattarella dopo essere stati convinti dal Pd, e tra i forzisti vicini a Raffaele Fitto c’erano la tentazione di fare altrettanto. Il Transatlantico è il luogo delle correnti che misurano le lealtà mostrandosi compatte non metaforicamente, come scrivono i giornali, ma fisicamente. In mezzo al passaggio. Correnti di partito e appartenenze regionali. L’iniziativa dei siciliani è stata fondamentale nei giorni della candidatura Mattarella, primo Presidente della Repubblica che arriva dall’isola. I primi argini tra il Pd e il centro a saltare sono stati quelli. Il Si del siciliano Alfano è maturato attorno ai Senatori Gualdani e Pagano, di Palermo e Messina. Fino a ieri semi sconosciuti, sui loro nomi crescevano i consensi nelle prime tre votazioni, voti in anticamera per Mattarella, e in Transatlantico crescevano di volume gli assembramenti attorno a loro. Intanto sul tappeto rosso passeggiava un signore molto elegante, magro, azzimato, presente e discretamente attivo pur non avendo alcun incariro. Era Sergio D’Antoni, l’ex segretario della Cisl, eminenza grigia del Pd siciliano e amico di Mattarella, palermitano come lui. Ha stretto molte mani di tutti i partiti e ha strappato molti sì. Prima di lui si era fatto vedere Ciriaco De Mita. Di fronte all’ottantasettenne Re di Nusco si è creata la fila. Le appartenenze di partito erano saltate. Era ritornata la corrente della sinistra democristiana. A un tratto è comparso persino un Vescovo spuntato da chissà dove. De Mita ha lavorato per Mattarella. E per Matteo. Anche lui, da ragazzino, iniziato alla politica in quel partito popolare di cui De Mita fu padre putativo e che oggi esprime il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e il segretario del maggior partito. Come con Cossiga, e con De Mita, nel 1988