La sostenibilità e i suoi motori. Intervista a Gianluca Ruggeri

La sostenibilità ha due motori: le scelte politiche e i comportamenti individuali.
Mediatyche ha intervistato Gianluca Ruggieri, ricercatore all’Università dell’Insubria
Abbiamo chiesto a un ingegnere ambientale che da 20 anni si occupa di efficienza energetica quali siano i fattori principali dello sviluppo e dell’implementazione delle pratiche sostenibili. Gianluca Ruggieri è Ricercatore del Dipartimento “Ambiente-Salute-Sicurezza” dell’Università dell’Insubria. Il primo tema che affronta è il rapporto tra i benefici economici e i benefici ambientali nel campo in cui lavora.
“Mi sono sempre occupato di efficienza energetica, uno degli aspetti della sostenibilità -spiega Ruggieri- ho scelto di farlo perché fin da quando inizia la mia carriera, 20 anni fa al Politecnico di Milano in quello che è ancora oggi il “Gruppo di Ricerca per l’efficienza negli usi finali”, era chiaro che ci fosse una coincidenza tra beneficio economico e beneficio ambientale. La maggior parte delle azioni che determinano efficienza energetica portano a una riduzione degli impatti ambientali e a una riduzione dei costi. Questa è la sfida: considerare la riduzione dei costi in un’ottica più ampia. L’esempio classico è l’acquisto di un elettrodomestico. Se compri un frigorifero è probabile che i modelli ad alto rendimento in termini di efficienza energetica costino di più. Se si considerano però il ciclo di vita o i consumi in bolletta, facilmente si scopre che si tratta di una maggior spesa ammortizzabile in breve tempo”.
20 anni fa il vostro era un lavoro da pionieri o c’era già un interesse dell’industria?
“Alcune industrie di settore erano già attente, come ad esempio Ikea che ha sempre avuto molta cura nella filiera di produzione. Ma non c’era consapevolezza generale. Racconto un aneddoto: nel Dipartimento di Energia ci fu assegnato un ufficio dove non voleva stare nessuno, era un sottotetto, freddo in inverno e caldo in estate. Il disagio ci costrinse a essere costruttivi e una estate pensammo di fare un buco nel soffitto del sottotetto dove mettere un ventilatore che estraesse aria calda in modo da fare arrivare aria fresca dalle scale. Ci presentammo con un progetto al Direttore di Dipartimento e lui ci chiese: perché non mettete un condizionatore? Rispondemmo che noi studiavamo la riduzione dei consumi e l’efficienza e avevamo pensato che fosse utile una soluzione che andasse in quella direzione, anche per fare delle misurazioni. Lui ci rispose: “capisco, ho una figlia vegetariana”. L’approccio era quello. Mancava il terreno di discussione comune“.
Non c’erano una cultura dell’efficienza e della sostenibilità energetiche, quindi
“Esatto. Non c’era se non in alcuni. Ricordo che ci insegnavano che, ad esempio, per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti non si sarebbe mai potuti andare oltre il 20 per cento. Oggi siamo a cifre allora impensabili, grazie anche a una politica dell’Unione Europea basata sul concetto dell’economia circolare. In una economia circolare tutto fa parte di un ciclo virtuoso e i rifiuti non ci sono”.
Quali sono gli strumenti elaborati negli anni per potere misurare, in questo caso, l’efficienza energetica anche pensando alle applicazioni concrete, al business?
“Facciamo l’esempio delle lampadine. Siamo passati da quelle a incandescenza ai led, realizzando un grande risparmio a parità di luce erogata. Si può raccontare questa storia attraverso due punti di vista. Il primo, è quello dell’ottica ristretta: la sostituzione delle vecchie lampadine con le nuove garantisce il risparmio di quantità di energia, in una progressione proporzionale. Il secondo modo in cui si può raccontare questa storia è quello di considerare tutta la filiera, allargando la visione. Scopriremo che sono state introdotte nel tempo le metodologie di LCA, Life Cycle Assessment (Valutazione del Ciclo di Vita) valide sia per i prodotti che per i servizi, che hanno consentito di valutare se, rimanendo all’esempio, la modalità con cui una lampadina ad alta efficienza energetica viene prodotta non determini il consumo di una quantità tale di energia o di materiali da vanificare i successivi risparmi, oppure se nella produzione si usino tecnologie più impattanti. L’Unione Europea ha definito studi di impatto dell’intero ciclo di vita, resi operativi con una direttiva che va sotto l’etichetta di Eco Design. Grazie all’Eco Design sono stati introdotti criteri minimi di impatto ambientale al di fuori dei quali i prodotti non possono essere commercializzati nella UE. E’ il principio che ha messo fuori legge le lampadine a incandescenza”.
Nell’implementazione delle tecnologie sostenibili è più importante l’intervento del legislatore o la convenienza economica immediata?
“Dipende molto dal singolo settore. Pensiamo al fotovoltaico. C’era una convenienza economica indotta dagli incentivi introdotti per legge. Poi però scattano meccanismi inspiegabili. Ancora oggi, personalmente, non mi capacito del tutto del successo del fotovoltaico E’ vero che c’era una convenienza economica ma ci sono tanti altri interventi che si possono fare, pensiamo alla sostituzione delle caldaie: dal punto di vista economico e ambientale non ha senso non sostituire le caldaie a gasolio con quelle a metano, le ripaghi in due anni, eppure continuano a essercene tante a gasolio. Lo stesso si potrebbe dire tornando alle lampadine: fino a che non c’è stata una spinta da parte della legge, i produttori non hanno investito sul led. Eppure le tecnologie erano mature. Il fotovoltaico è stato una sorpresa, probabilmente per il meccanismo che ti remunerava in maniera immediata. E’ un messaggio che è riuscito ad arrivare in maniera molto rapida”.
Questo non ci dice forse che conta molto l’impatto emotivo? Si è compreso immediatamente il vantaggio ambientale e allo stesso tempo si è trattato di una scelta che ha consentito a chi investiva di dirsi “sto facendo una bella cosa”. Quanto conta l’impatto emotivo?
“L’impatto emotivo conta, assolutamente. Alex Langer diceva che la transizione ecologica sarebbe stata possibile solo nel momento in cui sarebbe diventata desiderabile. Non è solo la desiderabilità finanziaria. Faccio un altro esempio: la tecnologia dell’auto elettrica c’è da 100 anni. E’ ovviamente migliorata nel tempo ma i presupposti sono antichi. Tesla è riuscita a fare l’operazione che dicevi: negli Stati Uniti è diventato di moda possedere un’auto Tesla, molto più del Suv. I modelli Tesla all’inizio erano costosi quanto una Ferrari. Eppure hanno trovato, attraverso il coinvolgimento culturale, la via per entrare in un mercato molto chiuso, con barriere all’ingresso molto elevate. E adesso stanno allargando la penetrazione con modelli più economici. All’inizio non si comprava la Tesla perché faceva risparmiare. Se poi pensiamo che in passato le macchine elettriche erano considerate quasi un giocattolo comprendiamo la portata della trasformazione”.
Il case history Tesla ci dice che un’idea vincente cambia la storia del mercato? Ed è un esempio replicabile in altri mercati?
Da una serie di interviste ai Ceo e ai 500 decisori più importanti delle aziende dell’automotive, si scopre che è aumentata tantissimo la percentuale di coloro che si aspettano a breve un cambiamento disruptive a breve, l’83% per cento degli intervistati afferma questo, due anni prima era solo il 12%. Non tutti poi sono d’accordo su quale sarà il fattore che farà saltare il banco. Potrebbe essere l’auto elettrica o l’auto che si guida da sola. Altri pensano a una riproposizione delle celle a combustibile a idrogeno. La sensazione complessiva è che siamo alle soglie di un cambiamento epocale dopo che negli ultimi 50 anni non c’è stata una rivoluzione nella mobilità privata. Ad esempio, molte grandi città nel mondo stanno bandendo il diesel. E torniamo all’impatto della politica sullo sviluppo delle tecnologie della sostenibilità”.