Da Kodak a Facebook, la nuova rivoluzione del lavoro. In una fotografia

Il lavoro agile di cui si è celebrata da poco la giornata internazionale è solo uno degli aspetti di come stia cambiando il modo di lavorare nel mondo occidentale. Forse, il più appariscente. La flessibilità negli orari, l’informalità nell’abbigliamento, la creazione di luoghi di socializzazione e di momenti di svago all’interno degli uffici. Il coworking. Sono elementi pratici e fattori estetici che contribuiscono a narrare il mutamento del lavoro nell’epoca post fordista.
Ma la vera rivoluzione è altrove.
La vera rivoluzione è nella transizione dall’economia materiale a quella immateriale. Dalla macchina al cosiddetto fattore umano.
Un articolo interessante sarà pubblicato nel prossimo numero de La Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera in edicola nel fine settimana.
“Kodak e Facebook: come cambia il lavoro”. Lo ha scritto Enrico Moretti, professore di economia politica all’Università di Berkeley, in California. Il cuore della rivoluzione. Moretti è anche consulente della Federal Reserve Bank di San Francisco nonchè editore capo del Journal of Economic Perspectives.
Nel suo articolo mette a confronto i modelli industriali di due icone del capitalismo statunitense. Una del passato, la Kodak, e una del presente, Facebook. Tra la fine della prima e l’esplosione della seconda c’è il passaggio d’epoca che ha cambiato tutto e che lega i due eventi, la rivoluzione digitale. Nel mondo non sono mai state scattate tante fotografie, ma nessuno usa più le pellicole e la stampa. Le immagini sono informazioni elettroniche che finiscono su Facebook, su Instagram e sugli altri social. La rivoluzione digitale fa a meno delle tute blu ma ha fame di cervelli, di persone altamente scolarizzate e creative.
L’apertura dei mercati globali e la digitalizzazione progressiva hanno fatto sì che le nuove tecnologie generino sempre più utili. Il valore di un’idea, scrive, non è mai stato tanto alto. Ecco perché il divario tra i salari dei lavoratori meno specializzati e coloro che occupano le mansioni più qualificate è cresciuto enormemente, è la tesi illustrata da Moretti. Se negli anni ’90 tra un ingegnere e un operaio della Kodak la differenza media di salario era del 50%, oggi a Facebook quella differenza si è triplicata. Non perché si siano ridotti i salari dei lavoratori più in basso nella scala delle retribuzioni (almeno stando ai casi in questione) ma per l’aumento vertiginoso dei salari di chi sia in grado di creare valore sotto forma di innovazione.
E’ la rivoluzione del capitalismo immateriale che, come ogni rivoluzione nata negli Stati Uniti, si espande progressivamente nel resto del pianeta.
Così Enrico Moretti sul prossimo numero de La Lettura del Corriere della Sera.
Il mondo del lavoro è in mutamento continuo per gli effetti di quella che Jeremy Rifkin ha definito la terza rivoluzione industriale, fondata su Internet e sulla Green Economy e non più sull’acciaio, come fu per la prima rivoluzione, o sul carbonio, come fu per la seconda.
Prevedere il domani con certezza è arduo.
Un altro gigante della nuova era, Google, invita ad esempio a tener conto del rischio del medioevo digitale. Cos’è? E’ la paura che un giorno tutte le nostre informazioni contenute nei bit possano andare perdute perché i supporti che le contengono si potrebbero deteriorare o non essere più utilizzabili. E allora cosa invita a fare Vinton Cerf, vicepresidente di Google? Invita a stampare le proprie fotografie.
Sì, il ritorno alla cara, vecchia carta.