Forse, scorrendo il vostro account Twitter in questi giorni, vi sarete chiesti perché l’hashtag #Kenya ad un certo punto si è trovato tra i Trending Topic insieme a #JesuisParis. Andando a vedere di cosa si trattasse, avrete notato che gli articoli sul tema sono datati aprile 2015 e vi sarete nuovamente chiesti: perché se ne parla ora? È proprio questo il punto.

Il 3 aprile 2015 in Kenya i terroristi dell’Al-Shabaab, il nucleo somalo di Al-Qaeda, hanno massacrato 148 studenti nel campus dell’Università Garissa. Questo, fra le varie conseguenze, ha portato alla prolungata chiusura di scuole e università in un Paese chiaramente terrorizzato.

Dopo gli orribili attacchi di Parigi, nel cuore dell’Europa, i social network hanno tempestivamente fornito una serie di servizi semplici ed efficaci. Da Facebook abbiamo ricevuto la notifica che i nostri amici che si trovavano a Parigi stavano bene e abbiamo avuto la possibilità di colorare la nostra immagine del profilo con i colori della bandiera francese. Intanto su Twitter gli hashtag #Jesuisparis e #minutodisilenzio sono saliti subito in testa alla classifica. Tutto ciò era destinato a permettere alle persone di esprimere, in un modo spontaneo ed intuitivo, anche se in alcuni casi un po’ commerciale, la loro solidarietà con il popolo francese, ed anche a facilitare il contatto tra i parigini e le persone care in tutto il mondo e unirsi, in modo simbolico, davanti al terrorismo.

La copertura mediatica dell’attacco terroristico in Kenya è stata molto più modesta e nessuno strumento simile è stato fornito, all’epoca, dai social network. Questo fa sorgere la domanda: siamo tutti uguali davanti ai social network? Se è vero che è normale essere più interessati a ciò che accade vicino a noi, è anche vero che, in quanto globale, il terrorismo riguarda tutti noi e la copertura mediatica e la diffusione di informazioni e pensieri sui social contribuisce alla sensibilizzazione delle persone e aiuta a sentirci uniti di fronte all’impossibilità di fare qualcosa di concreto per aiutare chi invece è più in difficoltà.

Quindi, anche i social network, con il loro potere comunicativo globale, dovrebbero prendere posizione e introdurre una serie di regole e strumenti per far sì che tutti possano essere uguali.