TRACCE DI BUONO, NONOSTANTE LA PANDEMIA GLOBALE
La pausa caffè, una battuta con i colleghi, la passeggiata fino al solito bar, persino gli interminabili viaggi in treno e le corse dalla metro all’ufficio. Il rassicurante vociare delle strade, il rumore di fondo. Ecco cosa mi manca.
Lo realizzo mentre mi preparo per partecipare alla riunione quotidiana di agenzia. Sono le 9.30 e sto sorseggiando un caffè bollente. Accendo il Mac. Sembrerebbe l’inizio di una normale mattinata di lavoro, se non fosse che io sono in tuta, seduta sul divano di casa mia, e la riunione è virtuale. Saluto i miei colleghi, piccole sagome incorniciate nello schermo. Questa è la quarta settimana che lavoriamo in smartworking, “distanti ma uniti” come vuole lo slogan.
Il tema della riunione di oggi è far emergere e valorizzare gli aspetti positivi della quarantena, quelle timide tracce di buono che la pandemia sta lasciando dietro di sé. Per noi che ci occupiamo di comunicazione sostenibile, la domanda fondamentale da porci è: “cosa significa sostenibilità ai tempi del coronavirus?”
Ci guardiamo in silenzio dagli schermi, non è facile rispondere. Tra i numeri dei contagi e delle vittime che sale di ora in ora, i gravi danni all’economia del Paese, le privazioni, le incertezze e lo stress da isolamento forzato, è difficile vedere il bicchiere mezzo pieno. Eppure, anche in queste giornate sospese, qualcosa di buono riusciamo a scovarlo.
ARIA PIU’ PURA
E’ la prima risposta che diamo, quella più lampante e tangibile. Perché se c’è qualcuno che sta giovando della quarantena, quello è il clima, che mai come in questo momento ha tirato un sospiro di sollievo rispetto all’incubo inquinamento che attanaglia le nostre città. Dove provava ad arrivare con fatica il movimento ambientalista, il corovinarus sembra essere riuscito in poche settimane, facendo registrare una netta diminuzione dello smog grazie alle azioni restrittive intraprese per contrastare la sua diffusione. Nel Nord Italia – dove vengono resi disponibili densi rilievi superficiali del biossido di azoto inquinante (NO2) – è stata rilevata una tendenza alla riduzione graduale di circa il 10% a settimana nelle ultime quattro o cinque settimane. Anche a Wuhan, una delle città più inquinate del mondo, i satelliti della Nasa hanno certificato un calo significativo di contaminazione da diossido di azoto e un generale miglioramento dell’aria dovuto alle restrizioni contro l’epidemia. Non solo aria più pulita, ma anche acque più limpide e animali selvatici che si aggirano in città. Il rallentamento della vita quotidiana ci sta mostrando come la natura sia in grado di riprendersi i suoi spazi. A testimoniarlo, le foto di una Burano deserta dove cigni si riappropriano dei canali, di delfini che giocano nel porto di Cagliari, delle vie del centro di Sassari popolate dai cinghiali in cerca di cibo. Meno inquinamento si traduce, senza alcun dubbio, in un enorme cambiamento per l’ambiente. La sostenibilità ai tempi del coronavirus, dunque, è prima di tutto ambientale e ci porta a riflettere sull’enorme impatto delle frenetiche attività umane sulla natura.
RISCOPERTA DEL VALORE DELLA SOCIALITA’
Nessuno si salva da solo. Se c’è una cosa essenziale che la pandemia ci ha ricordato in piena era digitale è che, prima che di password, numeri e dati, siamo fatti di carne. E abbiamo bisogno dell’altro, del contatto umano. Le abitudini, le piccole cose quotidiane, una pizza con gli amici, il pranzo dalla nonna, una passeggiata in due. Tutto vietato nel giro di una manciata di giorni. L’impossibilità di poterci abbracciare, toccare e baciare – sancita dalle istituzioni – ci ha fatto riscoprire il valore del contatto umano, dato ormai per scontato dalla routine. La voglia di sentirsi una comunità è testimoniata dai cori e canti che risuonano di balcone in balcone, dalle note di chitarra, dai lunghi applausi. C’è chi stona, chi fa solo casino e chi canticchia, ma va comunque bene. Che almeno per qualche minuto ci si può sentire più leggeri e meno soli, e l’isolamento diventa meno cattivo. E ora che buttare la spazzatura o andare in farmacia sono le nuove gite fuori porta ci si saluta sempre, come sui sentieri di montagna. E i social – di cui ormai parlavamo con sufficienza ed esasperazione – tra un video, un meme e una canzone, hanno il merito di riuscire anche a farci ridere. La pandemia ci fa sentire tutti uniti contro un nemico comune che per una volta non è più l’altro uomo: non è più il politico, lo straniero, il terrorista. E anche se quando tutto sarà finito forse ci vergogneremo un po’ per esserci commossi davanti a un video motivazionale o ascoltando l’inno di Mameli, ora ci fa bene. Avremo tempo domani per tornare a fingerci cinici, misantropi, superiori.
CONSAPEVOLEZZA DELLA FRAGILITA’
E se fosse stato proprio riconoscere la nostra fragilità a farci stare vicini?
“C’era questa idea – considera il sociologo dell’Università Statale di Milano, Paolo Natale – “che il mondo seguisse un costante processo verso la quasi immortalità. A farlo pensare la fiducia nella medicina che fa passi da gigante, l’età media che si alza, le malattie che si sconfiggono, oltre alla generale rimozione del concetto di morte. Ora ci rendiamo conto che non è così scontato, basta un elemento imperscrutabile come un virus a farci traballare”.
Credevamo di avere tutto sotto controllo, rassicurati dalle nostre consolidate abitudini, e invece nell’emergenza ci siamo trovati tutti sgomenti, fragili, impreparati. La riscoperta finitezza, da motivo di angoscia, si è rivelata anche una grande risorsa, permettendoci di metterci nei panni degli altri e di creare uno spirito di gruppo che non pensavamo di avere.
SOLIDARIETA’ E RESPONSABILITA’ SOCIALE
Fragili, è vero, ma anche uniti, solidali e responsabili. Sì, perché dopo i primi momenti di smarrimento l’Italia ha saputo dare una grande prova di amore verso il prossimo. Sono davvero tante le espressioni di cooperazione, condivisione e solidarietà che il nostro Paese, da Nord a Sud, sta sperimentando in queste settimane. Nei comuni più in difficoltà i giovani si stanno prodigando per portare la spesa e aiutare gli anziani, vengono predisposte iniziative per i bambini, arrivano grosse donazioni dalle aziende e le campagne di crowdfunding per gli ospedali e i beni primari stanno avendo molto successo. Ma la solidarietà ai tempi del coronavirus è anche sinonimo di responsabilità e senso civico, che possiamo mettere in atto rimanendo a casa.
“Non sono più ‘io che ho paura del contagio’ oppure ‘io che me ne frego del contagio’, ma sono io che preservo l’altro. Io mi preoccupo per te. Io mi tengo a distanza per te. Io mi lavo le mani per te. Io rinuncio a quel viaggio per te. Io non vado al concerto per te. Io non vado al centro commerciale per te”.
Queste le parole di una giovane del Movimento dei Focolari che, in un ampio post su Facebook, ci incoraggia a cambiare mentalità anteponendo la tutela del prossimo agli egoismi personali. Perché quando questa battaglia finirà, avremo guadagnato il tesoro dell’unione e della cooperazione. Speriamo di farne buon uso.
RISCOPERTA DELLA COMUNICAZIONE DI VALORE
In queste settimane di vita sospesa e di spostamenti vietati, le parole rimangono l’unico viaggio possibile. Mai come adesso, noi che lavoriamo nel campo della comunicazione ci siamo trovati a riflettere sul senso della nostra funzione e sull’enorme responsabilità che essa comporta. Allo scoppiare della crisi, siamo stati assediati da titoloni allarmistici, voci di esperti improvvisati, notizie frammentarie, pareri discordanti e articoli che riproponevano le stesse notizie minuto dopo minuto in una gara a chi riusciva meglio a spettacolarizzare una situazione già di per sé delicata. Si è trattato di un vero e proprio esempio di comunicazione insostenibile che ha provocato un clima di paura e psicosi collettiva senza precedenti. Mai come in questo momento sentiamo il bisogno di essere interconnessi, di recuperare il vuoto fisico con una telefonata o con una videochiamata su Skype, ma anche di sapere cosa accade oltre i confini della nostra quarantena. Comunicare è dunque fondamentale, ma richiede competenza e responsabilità. Nell’emergenza, noi comunicatori dobbiamo porci una domanda fondamentale: i contenuti che vogliamo diffondere apporteranno valore o terrore? E’ qui che secondo noi sta la vera differenza tra una comunicazione responsabile e una irresponsabile