Si preannuncia bellissimo (ironico) questo 2017 che tra una tragedia e l’altra non trova di meglio che un dibattito che si muove tra post-verità, giurie popolari e commissioni di esperti che tanto ricordano il Ministero della Verità di orwelliana invenzione.

Non saprei dire quale delle posizioni lette in questi giorni sia più insensata, provocatoria o stupida: i paladini della rete accusano i giornalisti di falsità, i giornalisti accusano la rete di diffondere bufale a piene mani. Diciamolo: la vera bufala è questa contrapposizione.

Non si può fare a meno di notare che gli argomenti con cui molti giornalisti (si veda ad esempio Calabresi su Repubblica) difendono la loro professione non siano robustissimi e neppure accettabili: in sintesi dicono “non potete darci la patente di bugiardi, proprio voi grillini che sostenete e diffondete la tesi delle scie chimiche, dell’inutilità della mammografia e dei danni provocati dai vaccini”. Certo, queste sono sciocchezze. Ma i giornali – mettendo in campo tutta la loro autorevolezza – ci hanno fatto credere che Saddam Hussein aveva le armi di distruzione di massa; che Kim Jong- un un giorno sì e l’altro pure – fa mangiare dai cani uno dei suoi generali perché non ha riso alle sue facezie; che per ogni inverno che si avvicina ci sarà un’influenza assassina che mieterà vittime come nessun’altra prima se non ci si vaccinerà (sicuri che tutti i vaccini siano proprio indispensabili?). E dietro queste notizie false o manipolate c’è ben di più di un individuo credulone: c’è una catena di professionisti della menzogna che hanno operato in sinergia per propinare “narrazioni” di comodo. Una catena di montaggio della quale fanno parte politici, manager di aziende, uomini dei servizi, spin doctor, addetti stampa, direttori, giornalisti, editori. Una catena assai più pericolosa di qualsiasi buontempone del web.

È altrettanto vero che sul web trovano spazio bufale di vario tipo – dirette da mani occulte o più semplicemente da utili idioti – che alimentano razzismi, violenze, odi. Pericolosissime. Che trovano, nel rilancio dei media, l’autorevolezza e la legittimazione ad esistere.

Insomma, un dibattito serio su informazione e comunicazione non può procedere invocando né tribunali del popolo né tanto meno commissioni di controllo che vaglino le notizie diffuse sul web: ci manca solo una commissione di burocratici censori, sullo stile di quella che negli anni 50 tagliuzzava a capoccia capolavori della cinematografia sulla base dei centimetri di epidermide femminile esposti alla vista.

Qualche tempo fa, in occasione di un convegno organizzato da Assorel, il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha lanciato un “patto del rispetto” tra tutti gli operatori della informazione e della comunicazione, un patto del rispetto che coinvolga i lettori e l’opinione pubblica, un patto che può nascere solo se ognuno fa il proprio lavoro con senso etico, rispettando il ruolo degli altri, partendo prima di tutto dai propri errori, sanzionando severamente e seriamente al proprio interno chi deroga. Certo, alla rete è impossibile (forse) mettere regole, ma per avere rispetto dell’etica non è necessario disporre di una normativa. E comunque, personalmente, non credo all’informazione gratuita, non credo al giornalismo dei cittadini come alternativa seria e credibile all’informazione prodotta dai giornalisti professionisti e da editori di professione.

Rubando a Churchill direi che i giornali sono la peggiore e più falsa fonte di informazione, fatta eccezione per tutte le altre.

Massimo Tafi