Milano ha assunto il ruolo di laboratorio politico del Paese. Una funzione che le è stata propria diverse volte, in passato.

Milano corre. In questo scorcio di 2016 i suoi protagonisti sulla scena politica stanno reclamando una leadership nazionale e, a nostro parere, ne hanno le caratteristiche e la legittimazione.

Nel centrodestra Stefano Parisi, già candidato a diventare sindaco di Milano a primavera, sta assumendo la guida di Forza Italia, grazie al profilo di liberale e di “uomo del fare” in sintonia con lo spirito del partito. Parisi, romano di nascita ma milanese di adozione, ambisce alla rappresentanza di tutto il centrodestra e il suo ostacolo più grande è il milanese Matteo Salvini, segretario della Lega Nord.

La cultura della Milano progressista è incarnata da Giuliano PisapiaCon l’intervista al quotidiano La Repubblica dello scorso sabato, nel quale parla del referendum costituzionale e invita a una tregua nello scontro in atto a sinistra, Pisapia svela le carte e non nasconde più la propria ambizione al ruolo di “padre nobile” di una rinnovata area di sinistra, al di fuori del Partito Democratico. Pisapia ha dalla sua il grande affetto con cui gli elettori di sinistra lo ricordano nel ruolo di sindaco di Milano, e soprattutto l’essere stato capace di tenere unita per cinque difficili anni la coalizione dopo avere vinto, nel 2011, le elezioni in una città che sembrava solidamente nelle mani del centrodestra. Una doppia impresa che fa di lui un candidato possibile a una funzione nazionale. Non è un caso che il quotidiano diretto dal milanese Mario Calabresi abbia affidato l’intervista a Pisapia a una firma del desk politico nazionale, Giovanna Casadio.

E poi c’è il sindaco, Beppe Sala. Era stato accolto con dubbi e diffidenze dall’area più vicina a Pisapia ma oggi fonti autorevoli in quel campo spiegano che Sala si sta rivelando una sorpresa, per il suo pragmatismo e la sua capacità di parlare a tutti. Ha colpito in particolare l’attenzione posta al tema dei profughi. La lettera aperta scritta ieri al Governo, in cui chiede una strategia di accoglienza di lungo periodo, è stato uno dei fattori che hanno indotto Renzi a prendere una posizione più netta al vertice dell’Onu a New York, e gli ha conferito lo status di politico con una visione ampia e internazionale.

Unitamente al suo attivismo nei confronti di Londra dopo il referendum sulla Brexit.

Milano quindi è oggi laboratorio e capitale politica. Anche per supplire alle carenze di Roma, che si dibatte in una crisi continua.