CarbonaraGate. A pochi mesi da Expo, come stiamo comunicando l’Italia all’estero?
Dopo il dieselgate e i Panama papers un nuovo scandalo sta scuotendo il mondo: il carbonaragate. Uno scandalo soft, che non provocherà arresti o crisi diplomatiche, ma che sicuramente farà storcere il naso (e il palato), non solo agli italiani ma a tutti gli amanti della buona cucina sparsi per il mondo. La pietra dello scandalo è, appunto, la carbonara, e più in generale la pasta e la cultura culinaria, nostro orgoglio nazionale e fiore all’occhiello del “Made in Italy”.
La storia: il sito francese di infotainment Demotivateur ha pubblicato una videoricetta per la carbonara con tanto di confezione di farfalle Barilla in primo piano e logo dell’azienda in basso a destra. Lo “chef” taglia la cipolla e la ripone in una pentola insieme alla pancetta e alla pasta. Aggiunge l’acqua e porta a cottura tutto insieme, poi scola lo strano miscuglio e aggiunge panna e formaggio grattugiato, mischia e rompe un uovo crudo in mezzo al piatto. “Blasfemia!” Gridano in coro gli italiani quando vedono il video sui social. Barilla si affretta a prendere le distanze dal sito francese e a stigmatizzare il fattaccio pubblicando su Facebook la ricetta di una vera carbonara.
Ma a girare il coltello nella piaga ci pensa Adam Gopnik, critico d’arte della rivista The New Yorker e appassionato di cucina, il quale sostiene che questa tenzone sulla carbonara riveli una crisi più profonda, quella del modo in cui si cucina la pasta. Stando alla prestigiosa rivista americana, il one-pot-pasta – ovvero preparare la pasta cuocendo tutto insieme in un’unica pentola – è una rivoluzione che sta attraversando gli Stati Uniti e l’Europa. Secondo la tesi di Gopnik, questa tecnica è semplice e veloce e permette a tutti, anche a chi non è avvezzo a cucinare, di preparare un piatto gustoso.
Probabilmente le elucubrazioni di Adam Gopnik sono dovute a una carbonara indigesta. Resta comunque il fatto che noi operatori della comunicazione dovremmo farci una domanda: com’è possibile che il corrispondente da Parigi di una delle riviste culturali più importanti del globo abbia un pensiero così basso del nostro piatto tipico nazionale? E, più in generale, come possiamo comunicare al meglio il Made in Italy, in Italia e nel mondo? Lo sforzo non può, infatti, fermarsi a Expo 2015 e dev’essere continuato attraverso consolati e camere di commercio all’estero.
Secondo i dati della Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, ai primi posti della motivazione dei loro viaggi, i turisti stranieri indicano il patrimonio culturale e l’enogastronomia italiana come i fattori trainanti, mentre gli aspetti considerati più importanti durante la vacanza risultano il sentimento di ospitalità degli italiani e, ancora, la qualità del mangiare e del bere.
Insomma, il buon cibo, le specificità del nostro territorio, la cultura del cucinare e del radunarsi intorno alla tavola imbandita sono parte del nostro essere italiani ed è ciò che più ci invidiano all’estero. Con buona pace di Adam Gopnik.