“PR” assassini
Qualche mese fa una giovane americana viene trovata strangolata nel suo appartamento fiorentino. Pochi giorni dopo viene arrestato un giovane frequentatore di discoteche toscane la cui principale attività è spacciare. Per i giornali – Corriere della sera in primis – il mestiere del giovane presunto assassino è “pr”. Addirittura nei titoli il ragazzo viene definito così. Passano i mesi e a Roma si compie un efferatissimo delitto: un giovane viene seviziato, torturato quindi ucciso a martellate da due giovani imbottiti di alcol e di droga. Sono due studenti fuori corso, frequentatori della movida romana. Che mestiere fanno per i giornali? I “pr”. E questa volta, per una doverosa par condicio della approssimazione mediatica, è Repubblica la portabandiera della definizione.
Dopo oltre quarant’anni di più o meno onorata carriera ho rinunciato a spiegare a mia mamma che mestiere faccio. Allo stesso modo in cene fra conoscenti faccio sempre un po’ fatica a far capire di cosa mi occupo e, soprattutto, che è una professione onesta e rispettabile. Chi è lontano mille miglia dal mondo della comunicazione e della informazione, comprensibilmente, fatica a capire le regole di questa professione. Non c’è dubbio.
Ma voi, amici giornalisti, proprio no. Non avete alcun diritto di non sapere cosa fa un “pr”. Un po’ perché un giornalista deve capire e sapere ciò che scrive. Un po’ (soprattutto) perché avete capito benissimo che mestiere facciamo quando di sabato o di domenica o in qualsiasi ora del giorno ci chiamate per avere l’ultimo comunicato stampa che avete smarrito nelle vostre caselle di posta ingolfate dalle nostre mail, quando ci chiedete in zona cesarini l’ennesimo dato per l’articolo che dovete finire tassativamente entro cinque minuti, quando non vi è chiaro il contesto di un mercato che affrontate per la prima volta e avete bisogno di qualcuno che vi aiuti ad orientarvi e, magari, vi risparmi qualche grossolano fraintendimento. Amici giornalisti sapete benissimo che mestiere facciamo, quello che per semplificare e sintetizzare si chiama “pr”. E come non vi siete mai permessi di appellare “medico” qualche mago o guaritore assurto agli onori della cronaca, né giornalista il pur onesto compilatore delle pagina gialle, vi saremmo grati se poteste evitare confusioni anche quando si tratta della nostra professione. Anche perché, se la nostra professione fatica a trovare riconoscimento sociale, la vostra – ahinoi – è in caduta libera. E questo non ci fa piacere, al contrario. Perché alla qualità dell’informazione e alla legittimità del ruolo del giornalista, noi “pr” siamo i primi a crederci davvero. Quindi, se tutti sono autorizzati a non conoscerci, voi giornalisti proprio no. I “pr” : rompicoglioni forse, assassini (o spacciatori) no.
Massimo Tafi