Matteo Renzi è un brand. Velocità, efficacia, modernità. E nella partita della riforma del Senato Renzi spende il suo brand personale più che gli argomenti politici. Anche se è stato accusato di essere un leader autoritario in cerca di un plebiscito (e sappiamo quale significato politico evochi, in Italia, la parola ‘plebiscito’), la sua scelta di personalizzare il referendum sulla riforma della Costituzione potrebbe essere l’ennesima mossa vincente.

Il referendum non sarà solo un voto sulla Costituzione ma sarà un voto sul Governo. Se perdo, vado a casa” ha detto. Renzi ha bisogno di una legittimazione popolare che lo confermi alla guida del Partito Democratico e dell’esecutivo, perché le elezioni europee del 41% sono lontane e perché la sua leadership sconta il peccato originale di non essere stata consacrata dalle urne in elezioni politiche.

Questa volta però c’è di più. Spostando l’attenzione su di sé, Renzi toglierà dai riflettori il quesito referendario, che rischia di apparire distante dai bisogni quotidiani dei cittadini. Potrà invece giocare la carta dell’immagine di innovatore della vita politica e istituzionale. E’ il ‘brand Renzi’, più che la trasformazione del Senato, a far dire ai più che questa riforma è necessaria per il Paese.

Il terzo risultato che Renzi potrebbe ottenere è la trasformazione dei suoi oppositori nella classica ‘armata brancaleone’. Se da un lato ci sarà lui, dall’altra ci saranno dalla destra di Salvini alla sinistra radicale. Da Beppe Grillo a intellettuali come Stefano Rodotà o Gustavo Zagrebelsky. La politica non premia i gruppi disomogenei. L’era Renzi ha accentuato il trend degli anni della Seconda Repubblica: il messaggio deve essere chiaro, univoco e lineare.